Agostino Steffani

Agostino Steffani (Castelfranco Veneto 25 luglio 1654 – Francoforte sul Meno, 12 febbraio 1728)

Testo (inedito) di una conferenza del prof. Gerhard Croll (Castelfranco Veneto, 1978), tenutasi in occasione di un concerto in Duomo, con musica di A. Steffani

(Cfr. Biblioteca “G. Croll” del Conservatorio di musica “A. Steffani” di Castelfranco Veneto, Lascito Croll, materiale dattiloscritto; vedi anche ; G. Croll, Agostino Steffani, Musiker, Politiker und Kirchenfürst, a cura di W. A. Kautz-Lach,, Wien, Hollitzer, 2018)

 

Agostino Steffani (1654-1728)

Non è facile parlare come straniero in memoria di un grande maestro, proprio nella sua patria. E questo è particolarmente difficile quando si tratta dell’Italia e di un compositore come Agostino Steffani, che proprio negli ultimi tempi è divenuto notissimo nel suo luogo di nascita, Castelfranco Veneto. C’è anche una via “Agostino Steffani”, qui a Castelfranco, ed il Conservatorio di questo luogo porta il nome di Steffani, il che significa molto di più che solo un rispettoso ricordo.  Molti abitanti di questa città hanno visto ed ascoltato negli anni 1975 e 1976 la tragedia per musica Tassilone di Steffani, e hanno partecipato all’inaspettatamente grande successo di questa musica, muta da più di 250 anni. Nell’anno 1977 fu rappresentata l’opera Niobe, anche questa la prima messa in scena dai tempi di Steffani. Chi potrà dimenticare mai quelle impressioni? Il duetto «Già brama il mio cuore – morire, morire!», l’addio di Tassilone a Gismonda e alla vita mondana («Deh, non far colle tue lagrime»), oppure i canti di morte di Anfione e di Niobe («Spira già nel proprio sangue»)… E parecchi ascoltatori dell’esecuzione dello Stabat mater dolorosa di Steffani si ricorderanno del concerto in Duomo eseguito 15 anni fa sotto la direzione del maestro Antonio Sartori [nel 1963].

Ma questa tradizione viva che vi lega ancora qui a Castelfranco con Agostino Steffani, mi rende facile parlarvi di lui. Egli era ed è ancora oggi tra voi.

E posso dire di me che Steffani ha avuto una grande importanza anche nella mia vita. Basterà ricordare che la mia edizione della partitura del Tassilone fu pubblicata vent’anni fa. Anch’io devo molto al «St. Agostino in musica», in fondo come voi: innanzitutto una ricchezza della più magnifica musica.

Quando Agostino Steffani, vescovo di Spiga e Vicario apostolico delle parti settentrionali [della Germania] morì il 12 Febbraio 1728 a Francoforte  (si trovava in viaggio per l’Italia), il mondo musicale non se ne accorse.

Questo non dipendeva solo dal fatto che Steffani da circa vent’anni non aveva più composto quasi niente di nuovo. Anche come musicista non si era più fatto sentire. Lui stesso aveva addirittura fatto in modo di far scomparire il suo nome – cioè di farlo sostituire con lo pseudonimo «Gregorio Piva» – dalle composizioni ancora in circolazione del maestro di cappella Agostino Steffani. Ma era ben noto, tanto a Düsseldorf quanto ad Hannover e a Londra, chi fosse nascosto dietro lo pseudonimo «Gregorio Piva»: un vero «St. Agostino della musica», il prelato di casa e assistente al trono del Santo Padre, il Vicario apostolico «ad partes septentrionales et per Saxoniam», il vescovo di Spiga «in partibus infedelium», Agostino Steffani.

Senza dubbio era gradito al vescovo di Spiga vedere nascosto il compositore e musicista Agostino Steffani sotto lo pseudonimo «Gregorio Piva», che era il nome del suo segretario e copista. Non che lui non avesse più stimato le proprie composizioni. Tutto al contrario: il vescovo ne era orgoglioso, soprattutto era orgoglioso dei suoi duetti da camera, chiamati da lui «delicta juventutis». Ma apprezzava molto pure il mottetto Qui diligit Mariam ed il madrigale a 5 voci Gettano i Re dal soglio. E si sentì lusingato quando Bononcini volle far rappresentare il Tassilone a Londra per superare con questo capolavoro nientemeno che G. F. Händel, cioè per scacciarlo dal teatro dell’opera di Londra.

Allora, nella stagione 1720/21, Bononcini cominciò ad arrangiare il Tassilone di Steffani – un’opera tuttavia composta già quindici anni prima – per contrapporlo, insieme con la propria opera Astarto, al Radamisto di Händel. Alla fine, però, questo piano non fu realizzato. A quanto si diceva mancavano a Londra, fra l’altro, cantanti adatti – «bisognava levare tre personaggi, il che non si poteva fare senza guastar l’opera» – così si scriveva da Londra a Steffani.

Ma il principe della Chiesa e uomo politico Agostino Steffani credeva che fosse meglio far dimenticare il musicista Steffani. E soprattutto egli credeva di doverlo alla sua reputazione, alla società. E di fatto la società reagì in parte con maliziosi commenti alla carriera del “cantante, organista, vice maestro di cappella” e finalmente “maestro di cappella dell’opera” del principe Elettore. Quando Steffani nel 1707 a Bamberga  fu ordinato vescovo dal principe Elettore di Magonza e  quando, due anni dopo, egli ritornò da Roma come Vicario apostolico, si parlava apertamente di una «metamorfosi di un commediante in un vescovo».

Ed il figlio minore del principe Elettore di Hannover, dell’ex padrone di Steffani, dipinge il debutto del vescovo di Spiga ad Hannover, dove Steffani era stato assunto come maestro di cappella vent’anni prima, come segue:

Il vescovo di Spiga è venuto alla nostra corte ad Annover. Invece d’una parrucca, adesso porta i neri capelli un po’ brizzolati tagliati corti. Ha pure una gran croce coi diamanti lampeggianti sul petto e un anello con un gran zaffiro al dito. Tutto questo gli sta bene e si potrebbe dimenticare l’orchestra (cioè il «maestro di cappella» di un tempo). Ma poi il teatro mi ritornò in mente lo stesso, per il contegno del vescovo e per il suo modo di parlare. Cioè quando il principe Elettore esaltò assai il barone di Sickingen, il vescovo di Spiga disse: «Sono lieto che le è gradito, essendo lui una mia creatura […]»

Ovviamente quell’osservazione di Steffani non fu fatta senza una certa vanità e coi relativi gesti e mimica, il che l’osservatore non ritenne conveniente per un alto dignitario ecclesiastico. In ogni caso, secondo questa descrizione di aspetto e contegno, possiamo immaginarci bene la personalità di Agostino Steffani come vescovo di Spiga e Vicario apostolico. Ma che aspetto avrà avuto in realtà?

Tutti voi conoscete l’immagine che rappresenta Agostino Steffani nei paramenti sacerdotali, a capo scoperto, con sullo sfondo la mitra ed il pastorale (fig. 1).

(fig. 1: Litografia di H. E. von Winther 1816, Bildarchiv und Grafiksammlung der Österreichischen Nationalbibliothek, Wien, cfr. Croll 2018, 270) 

Questo ritratto rappresenta Steffani nell’anno 1707, in occasione della sua ordinazione a vescovo oppure poco più tardi.  Corrisponde, per lo meno la pettinatura, con la descrizione pocanzi citata («i corti capelli neri brizzolati»). Ma è opportuno essere prudenti, perché questo ritratto non è una pittura originale, ma una litografia dell’anno 1816. Non sappiamo dove si trovi oggi il quadro che fu il presunto modello per l’incisione eseguita cent’anni dopo. Esiste ancora? È esistito di fatto? Oppure l’artista ha creato un ritratto ideale più o meno fantastico del vescovo di Spiga? Finora non lo sappiamo.

Purtroppo abbiamo avuto solo poche possibilità di paragone. Un ritratto in profilo di formato piccolo, proveniente da un’effigie con diverse teste, oggi è pure scomparso. Da quanto si può osservare su una riproduzione, si tratta del profilo di un personaggio ben individuato [cfr. Croll 2018, 271]: un ecclesiastico, ovviamente con la parrucca, sorprendente il grosso naso, un mento prominente – si può constatare una certa rassomiglianza col ritratto “nell’ornato [negli abiti]” da vescovo, ma nient’altro.

Infine c’è una piccola medaglia disegnata, che appena si può far passare come ritratto [cfr. Croll 2018, 272]. Proviene da una pubblicazione commemorativa per il principe Elettore del Palatinato, Giovanni Guglielmo, dell’anno 1708.  Senza dubbio qui dev’essere rappresentato «Agostino Abbate Stephani» (così comincia la “leggenda”). Ma confrontato con le altre due immagini, qui il vescovo sarebbe appena riconoscibile. E infatti anche le altre medaglie della pubblicazione, rappresentanti altri personaggi, mostrano tra loro piuttosto una certa somiglianza di famiglia che caratteristici personaggi ben definiti.

Poi, in una pubblicazione uscita solo nel 1978, apprendiamo dell’esistenza di un dipinto a olio che, evidentemente dà un’immagine viva di Agostino Steffani (fig. 2).

(fig. 2: Pittura ad olio di G. Kappers 1714, Bertha Jordaan-van Heek Stiftung, Haus Welbergen, Ochtrup)

Dipinto nell’anno 1714, il quadro mostra un ecclesiastico, un vescovo, all’età di 61 anni: «Aetatis suae 61» è scritto nell’angolo destro inferiore. Sotto a sinistra si distingue uno stemma (in uno scudo ovale rosso ci sono cinque losanghe bianche in file oblique, al di sopra una mitra). Dietro lo stemma si vedono due pastorali incrociati. Il nome del pittore lo conosciamo da un’etichetta che si trova in basso sulla cornice: G(erhard) Kappers, ed inoltre l’anno nel quale fu dipinto il quadro: 1714.

Il pittore, Gerhard Kappers, proveniva dal Münsterland in Vestfalia (presumibilmente da Bocholt). Nell’anno 1709 fu ammesso alla corporazione dei pittori a Münster, e si fece un certo nome come ritrattista in Vestfalia. In una monografia della famiglia di pittori Kappers, viene lodata anzitutto una certa abilità nel dipingere l’abbigliamento e le varie stoffe sui ritratti di Gerhard Kappers (e di suo figlio Matthias). Un onesto ritrattista dunque, legato alle tradizioni.

Secondo lo scopritore del quadro – il Dr. Wilhelm Kohl, direttore dell’Archivio di Stato a Münster/Vestfalia – non si può mettere in dubbio che il personaggio rappresentato sia Agostino Steffani, vescovo di Spiga:

  1. Il ritratto, dipinto nel 1714 nel Münsterland, rappresenta un vescovo. Non trattandosi del principe vescovo Franz Arnold di Wolff-Metternich zur Gracht, allora regnante (1707/18, principe vescovo di Münster), può entrare in questione soltanto un vescovo suffraganeo. E questo era dal 1714 (nota bene!) nient’altro che Agostino Steffani.
  2. Di fatto nell’anno 1714, quando fu dipinto il ritratto, Agostino Steffani era nel sessantunesimo anno di vita («Aetatis suae 61»). Aveva festeggiato il suo sessantesimo compleanno il 25 luglio 1714.

Ecco che, dato che si tratta di un dipinto originale, ritratto dal naturale – l’unico che conosciamo finora – vediamo veramente Agostino Steffani!

L’altro ritratto, l’incisione di H. E. von Winther dell’anno 1816, finora da tutti creduto autentico, adesso appare sotto un nuovo aspetto. Si dovrà considerarlo almeno come molto idealizzato. E, circa questo ritratto, un’altra nota che devo ad un amico storico d’arte: la forma della barba sull’incisione di Winther non corrisponde alla moda dei primi del Settecento. Corrisponde piuttosto al periodo verso l’anno 1630 (per es. Wallenstein, Kaiser Ferdinand). E un altro aspetto: è inverosimile che un osservatore così critico e attento come il giovane principe Elettore di Hannover non abbia menzionato mai la barba del vescovo, del tutto inconsueta ai suoi tempi?!

Dunque dovremo abituarci a riconoscere il “nuovo” ritratto come immagine autentica delle fattezze  di Agostino Steffani. Certo, come pittura non è niente di straordinario, non è un ritratto dipinto eccellentemente. Il pittore era un bravo artigiano, ma certamente non era un ottimo ritrattista, dotato di intuizione sottile.

Ma, davanti a questo quadro, tentiamo di immaginare Steffani, com’era nell’anno 1714.

Dalla fine del 1709 Steffani stava ad Hannover come Vicario apostolico delle missioni settentrionali. Aveva grandi mete e progetti ambiziosi, ma c’erano molte difficoltà e ci fu anche qualche insuccesso. Il lavoro minuto delle missioni era faticoso, c’erano liti coi gesuiti di Hannover e discordie col vicino vescovo di Hildesheim. Con fervore Steffani promosse la costruzione di una chiesa cattolica ad Hannover, decisa nel trattato elettorale del 1693, ma i lavori non avanzavano bene. Le speranze di Steffani di poter impegnare per la costruzione della chiesa Johann Dienzenhofer [1663-1726], l’architetto di corte del principe Elettore Lothar Franz von Schönborn, andarono in fumo.

Dappertutto mancava il denaro. Ci furono degli anni penosi, difficili e pieni di preoccupazioni. E mi pare che ritroviamo parecchia traccia di tutto questo nel viso del vescovo sessantenne. Risaltano tratti tormentati, quasi rassegnati.

Ma pure ci accorgiamo evidentemente della forza di un personaggio importante. Il portamento della testa mostra orgoglio e autocoscienza: la bocca, gli occhi dalle pupille leggermente convergenti, e le ciglia un po’ aggrottate danno un’idea di temperamento ed energia. Colpisce la forma della mano destra con le dita alquanto lunghe ma modellate sottilmente. Si ricordi della fama di Steffani come organista e anzitutto come cembalista.

Inoltre sul ritratto viene pure rappresentato il vescovo di Spiga. Uomo che sapeva vivere da principe della chiesa barocco, e che non solo amava le belle arti ma era anche «un amico della buona cucina», proprio come il suo amico, il principe vescovo di Münster. Certo non è un puro caso che troviamo non di rado argomenti luculliani nella corrispondenza di Steffani! Nei suoi documenti si trovano molte quietanze per forniture di vino, ricevute in regalo dai latifondi benedetti del principe Elettore di Magonza o del vescovo di Würzburg. E c’è perfino una vera ricetta di tartufi in forma di poesia, beninteso, scritta dall’autore del libretto del Tassilone, Stefano Benedetto Pallavicini [Pallavicino].

Mi rendo conto del pericolo di essere creduto presuntuoso, permettendomi di fare alcune note sul problema del nome di Steffani, cioè sulla pronuncia del suo cognome.

Dunque in primo luogo vorrei chiedere la vostra “indulgenza”. Ma forse l’anno della commemorazione sarebbe l’occasione giusta, e questo mi dà un po’ di coraggio.

Generalmente si sente pronunciato il cognome con l’accento sulla seconda sillaba: “Steffàni”. Le mie caute informazioni qui ed altrove sembravano affermarlo: è naturale accentuare la seconda sillaba, non affatto la prima, tanto più che il nome spesso è scritto con una “f” soltanto, e si trova in questa grafia proprio nel Veneto del Seicento e del Settecento.

In contrapposizione a ciò, fu sostenuto già 70 anni fa da Alfred Einstein, primo biografo veramente attendibile di Steffani negli ultimi tempi, che è corretto l’accento sulla prima sillaba: “Agostino Stèffani”. Però non ne ho trovata una motivazione in Einstein. Ma egli ci dà in un altro luogo un argomento decisivo per cui secondo le regole della linguistica si dovrebbe accentuare la prima sillaba. Infatti Einstein sostiene che il cognome in “dialetto guastato [in forma dialettale]” fu scritto come segue: “Stievani”. Cioè con un dittongo nella prima sillaba, il che esige sotto ogni aspetto l’accentuazione sulla prima sillaba, quindi la pronuncia “Stièvani”. E per questo – col raddoppiamento della “f” – abbiamo “Stèffani”!

Queste sono le informazioni datemi da un esperto dell’Istituto di romanistica a Salisburgo, e prima che voi protestiate o mi attacchiate, vorrei darvi volentieri l’indirizzo dei professori dell’Università di Salisburgo che mi hanno informato…

Stabat mater

La sequenza Stabat mater dolorosa si trova nel diciannovesimo capitolo dell’evangelo di Giovanni: la madre dolorosa sotto la croce di Cristo. Il suo aspetto suscita la nostra compassione. Vorremmo provare con lei il suo dolore. E gli uomini chiedono alla madre di Cristo la sua assistenza e protezione nel giorno del giudizio universale. Quando dovremo morire, speriamo di ottenere la felicità celeste grazie alla morte di Cristo: «Quando corpus morietur, fac, ut animae donetur Paradisi gloria».

La composizione di questa preghiera viene attribuita, oltre che a San Bonaventura, anche a Jacopone da Todi († 1306). Senz’altro la poesia proviene dalla cerchia dell’ordine di San Francesco. Le prime melodie legate a questa preghiera erano inni. Melodie di sequenze si trovano più frequentemente solo a partire dal Quattrocento. Di questo secolo sono pure le prime composizioni a più voci dello Stabat mater, la più famosa è il mottetto a 5 voci di Josquin des Prez, composto circa nel 1500. È vero che Josquin ha messo in musica il testo Stabat mater dolorosa, ma ha usato come cantus firmus una canzone francese profana. Sembrano aboliti i limiti tra il “profano” ed il “sacro”. Lo Stabat mater di Josquin era ben noto e apprezzato, soprattutto in Italia. Il mottetto era molto diffuso in manoscritti e stampe, fu cantato molto spesso e fu perfino “imitato”: un monaco e compositore italiano citava la composizione di Josquin all’inizio di una lauda a 4 voci.

Oggi conosciamo le composizioni dello Stabat mater di Pergolesi (ca. 1730), dell’Ottocento di Rossini e di Dvorak, e nel nostro tempo di Penderecki.

Lo Stabat mater dolorosa di Steffani è quasi sconosciuto al largo pubblico. Eppure esso è un vero capolavoro! Con buona ragione è stato definito “il culmine delle creazioni di musica sacra dello Steffani”. 

Un’esecuzione di quest’opera richiede molto ai solisti, al coro e all’orchestra, ed in parte per questo l’opera è caduta nell’oblio. Rispetto a ciò, faccio seguire subito alcune note.

Le vecchie [più antiche] copie si trovano quasi esclusivamente in paesi non cattolici (il fatto che ci siano proprio due copie “buone” della partitura a Londra, è dovuto certamente a Steffani stesso). È vero che ci sono delle moderne riduzioni per pianoforte e, rispettivamente, partiture per coro, ma non c’è un’edizione completa [definitiva] della partitura. La nostra esecuzione si basa anzitutto su una partitura manoscritta, che fu copiata quarant’anni fa da una partitura più antica. La copia è stata realizzata dal mio venerato maestro prof. Dr. J. Neyses, direttore del Conservatorio a Düsseldorf. Ora questa partitura del prof. Neyses fu collazionata ancora una volta da me con la partitura a mio avviso più attendibile della prima metà dell’Ottocento.

Steffani ha composto il suo Stabat mater probabilmente in età avanzata [e a Düsseldorf]. Purtroppo l’autografo è scomparso. Forse si trovava nel suo lascito, che sto tuttora cercando (e ne chiedo aiuto a voi!).

Alcune note su ciò.

Quel lascito musicale faceva parte dell’oggetto del processo che si svolse a Roma per mesi e mesi tra la camera apostolica e gli eredi di Steffani. Secondo la sentenza del 12 gennaio 1733, due casse con lettere e pratiche furono aggiudicate alla Congregazione della Propaganda Fide, dove si trovano tuttora, ordinate e rilegate in circa ottanta volumi. Il denaro rimasto e una terza cassa con musica furono ottenute dagli eredi. Ma le tracce di questa terza cassa si persero subito dopo il processo, e purtroppo non si sa più dove sia finito quel lascito musicale, che sarebbe certamente tanto prezioso per noi. Comunque non abbiamo abbandonato ogni speranza di ritrovarlo un giorno.

Ho già menzionato le esigenze particolari richieste dall’esecuzione dello Stabat mater. Un coro a 6 voci (con due soprani e due tenori), sei solisti, nell’orchestra archi a 5 voci [a 5 parti] (viole da braccio e da gamba, oppure due violini e tre viole), come anche basso continuo ed organo. I cantanti solisti devono superare molte difficoltà, ci vuole oltre ad un gran virtuosismo, un’esecuzione piena di “affetti”. Il basso deve scendere fino al Re grave, dalla morte di Cristo perfino al Do grave. Soprattutto l’interpretazione esige da tutti i musicisti un certo atteggiamento interiore, devozione ed affetto, semplicità e fervore, lo stesso coinvolgimento che provò il Compositore: la compassione per la madre di Dio sotto la croce, la pietà.

Qui diligit Mariam

La seconda composizione di Agostino Steffani eseguita quest’anno qui a Castelfranco, è altresì un’opera della tarda età del compositore. Ma il mottetto Qui diliget Mariam non dovrebbe essere stato composto più tardi dell’Utrechter Te Deum di G. F. Händel, come si è presunto. Però certamente Händel ha conosciuto il mottetto di Steffani prima di comporre il suo oratorio Salomo; il duetto «Non pavescat lethales horrores» dal mottetto di Steffani appare come “solo” di Salomone (con coro seguente) «Music spread thy voice around».

In questa sede permettetemi una nota circa i rapporti tra Steffani ed Händel. Steffani, trent’anni più vecchio di Händel, di solito viene presentato nella letteratura come amico paterno che spiana la strada al giovane genio.  E si dipinge il viaggio dei due da Roma a Venezia, viaggio la cui destinazione era Hannover, dove Steffani avrebbe introdotto personalmente Händel e l’avrebbe raccomandato come suo successore.

Di tutto questo non è documentato attendibilmente quasi niente. Si dovrebbe essere più guardinghi. Certo è che Steffani e Händel non erano amici intimi. Per quanto io sappia il nome di Händel non appare nelle lettere di Steffani, ma nelle lettere pervenute a Steffani da amici di Londra, si trovano osservazioni piuttosto maliziose su Händel e sulle sue opere recentissime. Per esempio, dalle lettere del residente di Modena a Londra a Steffani ad Hannover, veniamo a sapere il seguente:

[…] I Serenissimi Altezze Reali hanno proposta un’opera detta del Signor Piva intitolata il Tassilone. I Direttori dell’Accademia vogliono servire alle loro Altezze, e perché la musica sia regolata con amore, ed esattezza hanno pregato Bononcino a dirigerla, non fidandosi del fracasso di qualche altro, e dubitando ancora di rifiuto. Bononcino ha risposto che si farà gloria di servire alla composizione del Signor Piva, che considera il St. Agostino della Musica. Bisognerà mutare qualche poco di recitativi ma non si farà la minor alterazione nelle Arie. Bononcino che sa che io ho l’onore d’essere Servitore di Vostra Eccelenza mi ricerca di procurargli quello della stimazione di lei grazie, e di presentarle i di lui rispetti […]

«Non fidandosi del fracasso di qualche altro, e dubitando ancora di rifiuto» – con questo non si allude a nessun altro che G. F. Händel! Ecco: i direttori dell’Accademia non si aspettavano affatto che Händel dirigesse il Tassilone di Steffani «con amore ed esattezza», e perciò avevano paura di un fiasco che sarebbe stato opportuno proprio a Händel stesso.

Ma anche noi non possiamo aspettarci tanta tolleranza da Händel. Allora – nell’inverno 1720/21 – era in gioco la sua stessa reputazione, la sua esistenza in Inghilterra.  I partiti – l’italiano da una parte, i seguaci del “caro Sassone” dall’altra – si erano già costituiti. Si trattava di una “guerra dell’opera”, paragonabile a quella tra i seguaci di Gluck e quelli di Piccinni a Parigi negli anni settanta del secolo diciottesimo.

Ma a parte questo: avere particolari pretese per l’esecuzione del Tassilone non era un gran complimento a quest’opera, che era già un’opera vecchia per quel pubblico (ed anche per i direttori dell’Accademia), abituato a sentire e vedere le assolute novità

Ma non dovremo ritenere neanche giusto il contrario ed affermare che i due antagonisti erano nemici mortali. Le composizioni di Steffani senza dubbio hanno fatto gran impressione su Händel. La musica di Steffani, sulla base di una perfetta padronanza del contrappunto, era del tutto italiana, ma aveva pure elementi della nuova musica strumentale francese. Essa costituì un modello anche per la musica di Händel, il che naturalmente vale anzitutto per i duetti da camera, ma anche per il Tassilone e – come avrete la possibilità di sentire nel concerto – per il mottetto  Qui diligit Mariam che Händel certamente ha conosciuto a Londra. Perché poco prima della sua morte Steffani mandò questo mottetto a Londra, dove diventò il brano favorito dell’«Assemblea di Musica vocale», presso la quale aveva accesso anche Händel.

Fusione di Belcanto e contrappunto con una bella forma musicale – così si potrebbe caratterizzare in una sola frase la musica di Steffani.

Ma non si dovrebbe parlare troppo di musica: è meglio ascoltarla oppure eseguirla personalmente.

Grazie della loro attenzione!

(A cura della prof.ssa Nicoletta Billio, responsabile scientifico-didattica della Biblioteca “Gerhard Croll” del Conservatorio di musica “A. Steffani” di Castelfranco Veneto, marzo 2022)